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Un aereo in gabbia

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2014 00:02
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19/05/2009 00:42
 
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Un aereo in gabbia

Il Gatto guardava, assieme al suo gatto, il canarino in gabbia. Non era giusto tenerlo lì, si diceva, ma non si poteva neanche liberare una creatura nata in cattività, sarebbe morta certamente, così il Gatto passò altri dieci minuti a pensare come liberarlo, mentre il gatto passò altri venti minuti a pensare come catturalo. Nessuno dei due trovò la soluzione, cosicché il gatto andò a dormire sul divano, e il Gatto andò a lavorare al super mercato.
A sera, come tutte le sere, il Gatto si vide al bar con Giovannino e Sasso, come tutte le sere nel tavolino di fuor,i e come tutte le sere il Gatto si guardava attorno con aria stralunata, Giovannino guardava in alto il cielo o forse solo gli ultimi piani dei palazzi, e Sasso sorbiva un bicchiere di negroni dopo l’altro incupendosi sempre più. Ad un tratto il Gatto parlò e disse: “Ragazzi, devo liberare l’Aereo !”
“Si chiama così il canarino?”, chiese Giovannino.
“No. Non il canarino. È nato in gabbia e gli tocca rimanerci, ma l’Aereo no. Lui ha volato per i cieli!”
“Ma che aereo ?”
“Quello del super mercato!”
Il Gatto parlava di quell’aereo biplano che stava davanti alla vetrina grande del super mercato dove lavorava. I due capirono e il Gatto ebbe la loro attenzione. Giovannino appoggiò i gomiti al tavolo per farsi più vicino e Sasso alzò il suo cupo sguardo dal tavolino al Gatto.
“Vedete. Il canarino è nato in gabbia. Non conosce il mondo, e in fondo non sa neanche cosa si perde, ma l’aereo no. Lui ha volato in cielo, ha visto campagne e città, boschi e fiumi. Ha combattuto! Capite? Per poi finire dove? Prima l’ha recuperato un collezionista che l’ha tenuto anche bene. Gli ha ricostruito tutti i pezzi rotti. Non valeva più un granché senza i suoi pezzi originali, ma al collezionista non interessava, gli voleva bene anche così. Sembra che qualche volta l’abbia anche fatto volare. Poi il collezionista è morto e suo figlio ha venduto tutto. L’aereo è finito nel negozio di quell’anarchico pacifista che vendeva tutta quella roba militare usata: divise, elmetti. L’aereo gli serviva per farsi pubblicità. Lo aveva messo perfino nei volantini del negozio. Poi ha chiuso e il fondo l’ha preso la catena di super mercati PagoPoco. Da brava catena di negozi ha standardizzato tutto e decretato la disfatta del glorioso mezzo aereo senonché vanno a scoprire che il pezzo non è vendibile perché è tutto taroccato e non vale niente, e demolirlo è una spesa. Decidono che sta bene dove sta, dove l’ho trovato io, triste, umiliato, e in gabbia! Io lo libererò”.
Lo sguardo di Sasso ripiombava sul tavolo appesantito da ostilità e alcool, e lo sguardo di Giovannino tornava alle stelle.
“Dico sul serio. Lo libererò”. Ma ormai l’interesse degli amici era perso.
Il Gatto non si perse d’animo. Al bar per un po’ non si vide più, lasciando Giovannino a guardare in alto, e Sasso a guardare in basso. Quel Gattaccio portava avanti il suo piano. Faceva gli straordinari tutte le sere con la scusa di mettere a posto il magazzino e invece (invece fino ad un certo punto, perché il magazzino lo doveva mettere a posto davvero) stava intorno al suo aereo controllandolo, ingrassandolo, accarezzandolo. ‘Era stato fermo almeno trent’anni’ si diceva, ‘avrà bisogno di un’occhiata prima di rimettersi in moto’. Scaricò tutto quello che potè su quel tipo di aerei, e non gli fu difficile mettere a punto quella meccanica relativamente semplice, perché quando i tre amici lavoravano in falegnameria era lui ad occuparsi della manutenzione e riparazione delle macchine. Arrivò la sera che lo accese, il motore doveva girare un po’ prima della fugga, doveva sgranchirsi. Fece un rumore bestiale. Svegliò tutti i palazzi attorno, ma generosamente la colpa se la presero un gruppo di motociclisti mai esistiti. La fuga era pronta. Mancavano solo le rifiniture:un casco di cuoio, una sciarpa di seta bianca, e un paio di occhialini giallastri che il Gatto recuperò qua e là. Così mascherato, nella notte, nessuno lo avrebbe riconosciuto. E la notte arrivò nel cuore dell’estate. Tutto era pronto. Passò ad avvertire gli amici.
“Ci siamo. Stasera libero l’aereo”.
Non servirono ne le parole di Giovannino, ne gli sguardi di Sasso a dissuaderlo. Ci aveva lavorato due mesi a quella impresa. Giovannino lo seguì per tentare un’ultima azione dissuasiva. Sasso rimase zavorrato alla sua sedia da bar, appesantito dalla gravità e dall’alcool. Arrivarono al super mercato e a Giovannino toccò anche aiutare il Gatto a sistemare gli scatoloni dei pelati.
“Sai? Mi viene utile che sia venuto anche te”.
“Per sistemare gli scatoloni ?”
“No, per crearmi l’alibi. Tu alle undici uscirai di qui, e mi chiuderai dentro con le mie chiavi. Prenderai la mia macchina e passerai dalla piazzetta suonando il clacson per salutare. Col buio penseranno che sono io. Lo penserà anche Sasso, se alzerà gli occhi per guardare”.
“Nessuno ha mai fatto alzare gli occhi al Sasso dopo il quarto negroni e lui, alle undici, sarà al settimo minimo”.
“Non importa. Ti vedranno gli altri. Io aspetterò le due e infrangerò la vetrata con l’aereo. Poi lo farò decollare sul viale”.
“Tu sei fuori!”
“Stanotte lo sarà anche l’aereo!”
Giovannino sapeva fin troppo bene che non si discute coi matti. Vanno assecondati se no sono guai, ma abbassando la serranda aveva fortemente l’impressione che sarebbero stati guai ugualmente.
Una volta solo, il Gatto, parlò all’aereo incoraggiandolo. ‘Ti porterò via di qua.. Tra poche ore sarai libero ’ e così dicendo si faceva coraggio lui stesso.
Aspettò fino all’una, poi si mise la sciarpa, gli occhiali e il casco di pelle. Avviò il motore, aspettò un minuto perché si scaldasse, e partì. Due metri appena e l’elica toccò la vetrina mandandola in frantumi. Altri cinque metri e anche la coda dell’aereo scendeva dal marciapiede. Con qualche difficoltà il gatto fece girare l’aereo mettendolo per il verso della strada. Ora aveva il grande viale sgombro d’avanti a se. Solo un istante per godersi l’attimo , e poi partire. Diede tutto l’acceleratore come aveva letto nel manuale e l’aero si avviò sullo stradone. Andava tutto a meraviglia. Orami a ogni finestra c’era uno che guardava, ma non era un problema; il Gatto era irriconoscibile e una grande impresa deve avere il suo pubblico. Aveva previsto quasi tutto, si era dimenticato solo che all’una passava la guardia giurata. Nel momento in cui l’aereo si alzò da terra la guardia giurata aprì il fuoco colpendo, nell’ordine: Un lampione, il vaso di gerani della signora Alberta residente al quinto piano del numero civico quindici e, in ultimo, alla guardia parve di aver colpito una stella perché, quando sparò il terzo colpo, una stellina s’accese un sacco, a lui sembrò di rabbia, e finalmente abbassò l’arma. Nel mentre la signora Alberta rispondeva al fuoco con l’altro vaso di gerani e abbatteva la guardia. Il Gatto e l’aereo erano salvi. Salvi e in volo. Un applauso esplose spontaneo dagli spalti, pardon, dai balconi. Ore 01 e 07, l’aereo passò sulla piazzetta. Perfino Sasso tirò su la testa per guardare, la scosse, e la riabbassò. Giacomino e gli altri ragazzi della piazzetta si lanciarono all’inseguimento del biplano con ogni mezzo: auto, motociclette, ciclomotori, biciclette. Ci fu chi provò con l’autobus ma, a quell’ora, non passava più. In breve, obbligati dalla gravità a dover avanzare incollati al suolo, (con tutti gli ostacoli che ne derivano) chi prima, chi dopo, persero di vista l’aereo che invece volava in linea retta. Puntava dritto verso la luna, solo Giovannino sul suo motorino Garelli del settanta gli stava dietro. Uscirono entrambi dall’abitato, uno in cielo e l’altro a terra. L’aereo puntava dritto al Grande Salto e lì Giacomo lo avrebbe certo perso, ma l’aereo iniziò ad abbassarsi e sparì dietro gli alberi proprio prima del Salto. Appena superata la vegetazione Giacomino vide l’aereo che riemergeva dal bordo del precipizio volando via e il Gatto ancora vestito da aviatore che lo salutava con la mano. Altri due secondi e gli fu accanto. Altri tre e gli chiese:
“Ma chi lo pilota?”
Il Gatto lo guardò con quei suoi occhi grossi, chiari e stralunati e gli rispose:
“E’ un aereo. Sa volare da solo”, per poi tornare a salutare con la mano l’aereo che spariva nella Luna piena.
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Solo una parola..STRABELLO..

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si, proprio bella questa storia [SM=g7479]
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23/06/2014 00:02
 
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Questo lo riporto in cima per tre motivi:

1) Perché chi non l'ha letto se lo legge (e gli piacerà)
2) Perché chi l'ha già letto se lo rilegge (e gli piace di nuovo)
3) Perché è bello e mi piace..


[SM=x2320233]





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