Fiorella Mannoia e il suo movimento del mare: «Canto l'amore nell'era del disincanto politico»

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martee1964
00mercoledì 5 novembre 2008 16:05
ROMA (4 novembre) - Non è da tutti mettere in piedi un album grandi firme come ha fatto Fiorella Mannoia con questo suo Il movimento del dare: dieci canzoni d’autore scritte da gente come Fossati, Battiato, Ligabue, Tiziano Ferro, Jovanotti, Pino Daniele, Bungaro, oltre a tre brani di Piero Fabrizio, musicista con cui ha solida consuetudine. «Un premio alla coerenza» come dice lei. Il riconoscimento a una carriera quarantennale (debutto a Castrocaro nel 68, a soli 14 anni, con un pezzo di Celentano, Un bimbo sul leone) «che non ha mai ceduto alle sirene del facile successo». E oggi, a 54 anni portati magnificamente, Fiorella è davvero la gran signora della canzone, come dimostra con la sua forza d’interprete in questo disco che fa sfoggio di eleganza e qualità, a dispetto dei tempi «dove, per farti conoscere, devi passare per programmi televisivi fatti di gare che sviliscono la musica» (come è successo a Giusy Ferreri). «La tv - aggiunge Fiorella - non ha programmi dove vai a fare il cantante e basta come c’erano una volta Doc o Taratatà: anche questo è un ulteriore segno dell’omologazione. Ma non capisco perché nella Rai non ci debbano più essere spazi di questo tipo».

Il movimento del dare è un cd di canzoni classiche, dove si parla di sentimenti («c’è in giro un disincanto politico, un torpore generale, non ci emozioniamo più di nulla, così ci si rifugia nei sentimenti») ma non solo. Come nella canzone titolo, scritta dalla coppia Battiato-Sgalambro, invito esplicito ad aprirsi agli altri (nella copertina la Mannoia tende le sue mani aperte in un gesto di disponbilità) «ad amare le differenze culturali, a capire il prossimo invece che esserne spaventati, a evitare l’egoismo, la paura del dare. Penso che il rapporto con gli altri sia una delle chiavi della nostra società, per esempio l’incapacità di chiedere scusa, di riconoscere i propri errori. Ecco so già il titolo del mio prossimo disco, si chiamerà Scusa, ho sbagliato, una frase che non dice più nessuno, si preferisce dire hai capito male”». C’è anche un riferimento alla guerra fra le dieci canzoni, è l’ultimo titolo, Il sogno di Alì, scritta per un bimbo ferito durante la guerra in Afghanistan «nata da un disegno che Vauro ha portato da quella terra».

Un album sedimentato nel tempo «in sette anni durante i quali non sono stata ferma, ma ho lavorato tanto, dal progetto brasiliano alla rivisitazione di cover, a lunghe serie di concerti e collaborazioni», dice Fiorella. Così, quando ha deciso che era il momento di mettere insieme un nuovo album di inediti, molto del materiale se lo è già trovato in casa. Come Capelli rossi di Pino Daniele («me l’aveva mandata sette anni fa») o come Il Re di chi mi ama troppo di Ferro o Io cosa sarò di Jovanotti, che aveva da un po’ di tempo («e loro sono stati carini ad aspettarmi»). Ne è uscito questo disco solido, dove è la classica canzone d’autore ad avere la meglio. «Forse l’autore più distante da me è Jovanotti, ma di lui mi piace la tanta energia e le belle idee che ha. Mi piacerebbe un giorno registrare la sua Occhio non vede cuore non duole, però senza cantare solo parlando». Nessun autore giovane, anche se la Mannoia ammette di averci provato: «Usano linguaggi distanti dal mio. E io devo identificarmi con quello che canto. La mia voce non ha grande estensione non posso sopperire con virtuosismi, punto sull’emozione».

Il nuovo disco sarà nei negozi da venerdì e sarà seguito da un lungo tour che partirà a febbraio. Le date non sono ancora state fissate.
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