Verdone: «W le coatte di Ostia così pasoliniane»
di Toni Joptutti gli articoli dell'autore Due cose: l'oggetto non mi sorprende, quelle due ragazze sono fatte della stessa materia della prima curva sud della storia del mondo, quella del Colosseo, è abbastanza ovvio che contengano i fondamentali del teatro di strada. La seconda, invece, è relativa allo sguardo che si è focalizzato in questa ordinaria situazione su di loro. La notizia sta qui e non dice benissimo del paese e del suo stato d'animo». Perbacco, dottor Verdone! Lei sostiene che Roma è in forma e che l'Italia non sa più andare a teatro semplicemente perché non lo sa vedere! Ma Verdone, oltre che un gran regista è anche un capoccione e conviene ascoltarlo perché ha cose da dire sul fenomeno dell'estate, quei due milioni di sguardi appuntiti sul video on line delle «trucidone» di Ostia che raccontano cose da niente ma in un bel modo. Anzi, a proposito di capoccione, anche una di loro ha detto capoccia, per dire cosa vuol mettere sotto la doccia. Entriamo nell'ombelico della cronaca e per una volta, la notizia è la notizia e non la sua materia: l'oggetto siamo noi e il nostro modo di guardare, non ciò che guardiamo.
Razzisti? Guardoni? Chi siamo, dottò, e perché ci eccitiamo in tanti di fronte a quel video?
«Macché guardoni, e chi è che ha detto razzisti? Stupidaggini. Pensa alla platea, alla gente come platea. Qualcuno gli sottopone una gag fatta di niente, di niente di nuovo. Ma di una materia semplice, sincera, diretta, senza fronzoli o doppiezze, sorretta da un vocabolario denso di colori, esagerato e saporito e in movimento, nel senso che si aggiorna continuamente sul neologismo che è atto creativo. Il linguaggio delle periferie, di sempre. In questo caso, della periferia romana e non ce n'è un'altra come questa. E in tanti, guardano, assecondano l'offerta, sorridono, ridono, rivedono, comunicano lo choc, la sorpresa, lo smacco linguistico che è anche culturale...».
All'anima, dottò! Vuol dire che siamo rimbambiti?
«Non rimbambiti ma forse regrediti, siamo tornati a stupire di fronte a forme elementari di teatro, basilari...».
Troppo maliziosi per non essere tornati ingenui?
«Non vorrei fare l'elenco delle maliconie. Ma: è vero o no che la gente non sa più ridere? Che non sa più guardare? Questa incapacità derivano da una sostanziale assenza, da una diffidenza profonda nei confronti della realtà, e da un conseguente distacco altrettanto profondo nei confronti delle cose che chiude le finestre della coscienza. Bada: hanno riso perché qualcuno gli ha fatto vedere questo video, non perché siano dotati di una ironia collaudata e sorniona; non si sono accorti di ridere della curva sud, quella che non ci ha mai abbandonati, che cresce attorno alle nostre belle case, il più classico dei laboratori del nostro linguaggio e l'abbiamo dimenticato. Questo vuol dire che grandi parti di una grande città non comunicano, che grandi strati sociali non comunicano come dovrebbero, che grandi pezzi di questo paese non comunicano e questo è male, molto male...».
Ti preoccupa la distanza che la Lega oggi vuol rimarcare tra Nord e Sud?
«Certo. Brutto affare, mi piacerebbe fare qualcosa per sdrammatizzare, per svelenire, voglio fare, ma non so a cosa porterà. Eppure, siamo quel magnifico posto della terra in cui un immenso intellettuale del Nord, Pasolini, aveva mostrato a tutti, Nord e Sud, come la periferia, quella romana nel caso, sia la culla, la fabbrica più laboriosa e sincera e pronta a pagare dei nostri drammi, altro che “Roma ladrona”. E il Sud non è che la povertà, l'assenza di potere, e cioè ciò che serve al potere per conservarsi, così come la curva sud serve al calcio miliardario per non morire».
Qualcosa l'hai fatta, in questa direzione. Per esempio ci hai fatti morire dal ridere col tuo «Viaggi di nozze», quel «famolo strano» è un tappeto volante fatto di due parole, più o meno quante ne hanno pronunciate quelle ragazze di Ostia...
«Con quel film che è del 95 credo di aver anticipato qualche tema e qualche tempo. Ma nel mio lavoro è attiva la parodia, un'enfasi teatrale che gonfia i sensi di quel linguaggio. In ciò che hanno detto le due ragazze c'è una naturalezza pasoliniana, non volevano far ridere e neppure divertire. Insomma, bisognerebbe proteggerle e invece...».
Che vuoi dire? Ti sembrano in pericolo?
«Sì che lo sono, ma non solo loro, anche noi, perché questa storia ora viene cannibalizzata secondo un rituale abbastanza atroce e in grado di azzerare i sensi di quella che poteva essere una piccola scoperta. Il rilancio continuo di quelle immagini ormai ridotte a spot consumato, devastato in una quantità di ritorni in tv, le interviste, gli inviti di qui e di là, lo sfruttamento di una cara, adorabile banalità trasformata dalla macchina degli sguardi in un'attrazione da circo. Ci rimettiamo tutti, questo è uno schifo. Purtroppo normale».
27 luglio 2010
L'Unità