ne ho scritto un altro
certo per voi non farebbe differenza se io mettessi qui il racconto originario piuttosto che quello che ho appena scritto, ma siccome invece per me la differenza la fa, metto il secondo
per il momento
Topi
qui cade il vento e c’è da fare
battere la polvere dalle vele
tenere d’occhio i topi
nel caso abbandonino la nave
Ho scelto quattro colori che non c’entrano niente con noi due. Un rosso metallico, un viola, un verde militare e infine il nero.
Non sono per te.
Finalmente posso scegliermi le tazze per la prima colazione, e detestare liberamente tutti i coordinati che infestano la tua casa, le lenzuola le pentole i piatti le candele i cuscini sul divano le saponette profumate gli asciugamani impilati per gradazione e quegli sbuffi orribili di fiori finti che strabordano da tutti i vasi. Anche tuo marito l’hai scelto in gradazione, un biondo più scuro del tuo, un filo più alto, con gli occhi appena più chiari.
Perfino le figlie rispettano il tuo senso estetico e le tue manie per l’ordine progressivo! Non sono infatti la più bassa? La più ostinata? La più sfortunata in fatto di uomini? Non sono quella che ha portato più a lungo l’apparecchio per i denti? Che si è prestata di più a sopportare le paturnie di papà? Che si è sacrificata maggiormente per il bene della famiglia?
E adesso che ho una casa tutta mia, meravigliosamente asimmetrica e in disordine, vorresti, come hai detto?, rintanarti in una stanzetta insieme a tuo marito? E mica una stanza qualunque, poi. No! Il mio studiolo, quello che ho dipinto da sola con le spugnature e le pennellate alla come viene viene che tra parentesi è venuto benissimo. Tra i miei libri, i miei numeri di Martin Mystère, le mie scatole di carta da regalo riciclata. E la mia collezione di penne stilografiche in onore di tutte le volte che mi hai impedito di comprarne una perché mi sarei macchiata le dita d’inchiostro, dicevi.
Mica l’ho capito, oltretutto, perché vorreste rintanarvi proprio qui. Tu non la sopporti, la campagna, e non sopporti nemmeno il mio vicino. Lui si divertirebbe un mondo, a dire il vero, non farebbe altro che provocarti per vedere la tua faccia. Pensa, riesce a cantare ruttando certe famosissime arie della Traviata.
Rintanarsi, ma non siete già abbastanza infelici nella vostra casa, già rintanati da anni come topi coi vostri cimeli da due lire? Volete impregnare d’infelicità un altro posto?
E’ inutile parlare con te, so che non ascolteresti. Mi interromperesti continuamente, notando quello schifosissimo geco sul muro, i miei capelli che quando li hai lavati l’ultima volta, cara?, il mestolo che ha il manico piegato a sinistra, e un lembo di carta che spunta dalla fruttiera. E cercheresti di farlo sparire sotto la porcellana perché la tua idea del mondo ne uscirebbe turbata! Dio!
Ne ho parlato con papà, invece. Ti ho fregato e ne ho parlato con papà. La sua fragilità mi fa così tenerezza che è quasi insopportabile. E pensare che un tempo avrebbe cominciato a gridare alla lesa maestà.
Ad ogni modo l’ho fatto sedere sulla sedia a dondolo e gli ho detto: “Ma ti sei accorto, papà, che i tuoi capelli sono di un biondo più scuro di quelli della mamma, e che sei un filo più alto, ed hai gli occhi appena più chiari?”
Lui mi ha guardato ed ha aggrottato le sopracciglia. Ha ragione, ad aggrottare le sopracciglia, per un milione di motivi. Io però gliele ho distese, accarezzandole con il palmo della mano.
Aveva gli occhi più velati del solito, ha curvato la schiena come se fosse assorto.
Così, lui tutto curvo ed io tutta carezzevole, gli ho detto che non vi avrei ospitati a casa mia. Che vi volevo molto bene, e che ci sarei sempre stata per qualunque cosa, io come le mie sorelle, e che mi sarei buttata nel fuoco per voi, e che avremmo pagato qualcuno per darvi una mano con le pulizie, la spesa, le vostre incombenze quotidiane. Ma non vi avrei ospitati a casa mia.
Perché volevo quattro tazze per la colazione di quattro colori diversi.
Una tazza rosso metallico, una viola, una verde militare e infine una tazza nera.
Lui non ha detto niente, stavolta. Più tardi, ha ascoltato la poesia che ho scritto mentre aspettavo che salisse il caffè. Gli ho detto che non era per lui e non ci ha creduto.
il mio braccio sinistro è un remo d'aria dolce,
sposta materia trasparente che oggi non mi parla
solo un accenno di nuvole aghiformi
che grattano la pelle
il cuore ci pulsa nelle palpebre
si dà come un metronomo
ma noi finiamo sempre fuori tempo
qui cade il vento e c’è da fare
battere la polvere dalle vele
tenere d’occhio i topi
nel caso abbandonino la nave
b.
[Modificato da dueanime 05/11/2008 00:34]
"Da dove vengo e dove vado, non sono assolutamente domande serie. Quello che ci interessa è come, quanto, quando, dove e insieme a chi ci consumiamo." (Rodrigo Garcia)