L'Italia ha resistito alla crisi
ma ora non sa più ripartire
Mancano "spessore e vigore adeguati". Il sistema manifatturiero soffre di 'despecializzazioni', emerge il terziario, ma gli investimenti veri scarseggiano, il mercato del lavoro continua a escludere i giovani, che in parte però si escludono anche da soli
ROMA - La crisi non ha distrutto l'Italia, ma l'ha privata delle sue forze residue. Tanto che "sorge il dubbio che, anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alla sfide che dovremo affrontare". Lo sostiene il Censis, che oggi presenta il 44° Rapporto sulla situazione sociale del Paese. In un clima di totale sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni, si misura anche un forte arretramento dell'economia. L'Italia "resta il quinto Paese più industrializzato del mondo, con un contributo alla produzione manufatturiera mondiale del 3,9%". Ma sta perdendo posizioni sotto il profilo della specializzazione dell'export, ha una crescita molto più bassa degli altri Paesi industrializzati, sta penalizzando i giovani, praticamente espulsi dal mercato del lavoro. Se il Paese non imbocca con decisione il sentiero della ripresa dipende anche dal fatto che sul sistema pesano come macigni un debito pubblico enorme, che ogni anno drena risorse per il 4,7% del Pil, e un'evasione fiscale che le stime più rosee valutano intorno a 100 miliardi di euro l'anno. Il clima da mancanza di fiducia che si respira ovunque spinge le famiglie verso investimenti improduttivi: il mattone, la liquidità, le polizze. Il sistema di welfare è sempre meno efficace, se è vero che il 91% dei disoccupati di famiglie monoreddito in Italia sono da considerarsi a rischio povertà, contro il 32%% del Belgio, il 55% della Spagna e il 75% del Regno Unito.
Il "disinvestimento" dal lavoro. Non è solo l'aumento della disoccupazione, che pure c'è stato: dall'inizio della crisi ad oggi l'Italia ha perso 574.000 occupati (giugno 2008-giugno 2010). Le imprese manifatturiere si sono ridotte di oltre 93.000 unità, la riduzione del valore aggiunto ha colpito tutti i comparti produttivi, ad eccezione di quello dell'intermediazione immobiliare. In media il decremento nel Paese è stato del 5,5%, ma a fine 2009 i livelli erano ancora più preoccupanti per il manufatturiero (-14,5%) e per il commercio (-9,5%).
I giovani: vittime o colpevoli? La riduzione dell'occupazione si è rivelata drammatica per i giovani: ancora nei primi due trimestri del 2010 si è registrato un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni del 5,9%, a fronte di una riduzione media dello 0,9%. Ma il Censis pone anche una domanda: è tutta colpa del sistema, o c'è anche un 'disinvestimento' da parte dei giovani? Sono 2.242.000 le persone tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano né cercano un impiego: ebbene, più della metà degli italiani pensa che "i giovani non trovino lavoro perché non vogliono accettare occupazioni faticose e di scarso prestigio". Una valutazione che "potrebbe apparire ingenerosa e stereotipata", ammette il Censis, senonché "ad esserne più convinti sono proprio i più giovani, tra i quali la percentuale sale al 57,5%".
Il rischio di 'despecializzazione'. La crisi ha inciso pesantemente sulle nostre esportazioni, ma ha modificato anche la geografia delle nostre imprese. La quota dell'export italiano sul mercato mondiale è passata negli ultimi nove anni dal 3,8% al 3,5%. In particolare, è migliorato il nostro posizionamento per prodotti come articoli di abbigliamento, macchinari per uso industriale, prodotti alimentari, ma abbiamo perso terreno nei comparti a maggiore tasso di specializzazione, come le calzature (-3,8%), la gioielleria (-4,3%), i mobili (-4,7%), gli elettrodomestici (-5,8%) e i materiali da costruzione (-13,7%). "Il pericolo - osserva il Censis - è che strategie di nicchia, design e qualità non bastino più senza maggiori iniezioni di innovazione nei prodotti".
Deindustrializzazione competitiva. Ma la crisi ha anche avuto come conseguenza un "riposizionamento dell'industria in cui il terziario gioca una parte rilevante". Per settori come la consulenza, la logistica, la ricerca e l'ICT il numero di imprese ha registrato, a metà del 2010, incrementi intorno al 5% rispetto all'anno precedente. Boom del terziario? Diciamo che ci sono le premesse, ma occorrerebbero ben altri investimenti per portare le imprese italiane a livelli competitivi: "Vale la pena di chiedersi quanto il sistema-Paese stia puntando sulla componente più avanzata del terziario", si chiedono i ricercatori del Censis.
Cresce l'economia irregolare. L'economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3% e portando l'incidenza sul pil dal 17,2% al 17,6%. A trainarla è stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%.
Cuneo fiscale al 49%. Il cuneo fiscale, calcolato intorno al 46,5%, colloca l'Italia al sesto posto tra i Paesi avanzati. Ma le tasse che gli italiani pagano in effetti sono anche superiori: se si considerano tutti i pagamenti obbligatori non fiscali, a cominciare dal prelievo per il Tfr, si arriva al 49%, osserva il Censis. Ci sono poi gli aumenti tariffari, che per il prossimo anno vengono calcolati in circa 1.000 euro a famiglia. E spese varie che vanno dalle multe alla revisione per la caldaia o dell'auto: si arriva a 2.289 euro l'anno a famiglia.
Ma non toglieteci il welfare. Eppure, gli italiani non vogliono pagare meno tasse, anzi sono disposti anche a pagarne di più, purché venga loro garantito un adeguato sistema di welfare. E' la scelta del 55,7% degli intervistati, si legge nel Rapporto Censis, "in controtendenza con un passato non troppo lontano, quando l'abbassamento del livello di imposizione fiscale era al contrario giudicato prioritario, una voglia inedita di Stato". Emerge anzi un atteggiamento contrario all'evasione fiscale (44% degli italiani).
Eppure la protezione sociale non funziona. Alla voglia di stato sociale al momento non corrisponde però una risposta adeguata da parte del sistema pubblico. Il 91% dei disoccupati di famiglie monoreddito in Italia sono da considerarsi a rischio povertà, contro il 32%% del Belgio, il 55% della Spagna e il 75% del Regno Unito (paese considerato ben più 'antiwelfare'). Il 62% degli italiani esprime un giudizio negativo su questa tipologia di strumenti di tutela, quota che risulta nettamente superiore al dato medio europeo, pari al 45%. Il 44% degli intervistati ritiene che negli ultimi cinque anni la situazione sia peggiorata, dato superiore a quello medio europeo (38%).
Consumi ridotti, ma in via di ripresa. La crisi ha costretto le famiglie a rivedere a fondo i loro piani di spesa. Nella maggioranza dei casi gli italiani si sono limitati a ridurre gli sprechi (51%), non pochi (il 24%) sono stati costretti a rinunciare a prodotti o servizi giudicati essenziali. Le spese voluttuarie sono state falcidiate: il 60,4% ha ridotto pranzi e cene fuori casa, il 56,9% ha compresso spese per lo svago e il 38,1% ha modificato le abitudini alimentari. Eppure dalla spesa per consumi delle famiglie dipende il 61% del Pil. La loro contrazione quindi incide anche sulle prospettive di crescita. Nei prossimi mesi però dovrebbe andare meglio: il 23,8% delle famiglie prevede un aumento dei consumi per il secondo semestre del 2010, e solo il 7,7% prevede un'ulteriore contrazione.
Famiglie sempre più ripiegate sul mattone. Nel pieno della crisi, le famiglie italiane ripiegano su mattone, liquidità, polizze. Nel primo trimestre del 2010 i mutui erogati sono aumentati in termini reali del 10,1% rispetto alla stesso periodo del 2008, superando i 252 miliardi di euro. Nel biennio è aumentata la liquidità detenuta dalle famiglie (+4,6% in termini reali i biglietti e depositi a vista, +10,3% gli altri depositi). Nei primi nove mesi del 2010 i premi per nuove polizze vita sono aumentati del 22% rispetto allo stesso periodo del 2009. La scelta è andata al mattone anche quando comportava esborsi gravosi: tra le famiglie che fronteggiano pagamenti rateali, mutui o prestiti di vario tipo, il 7,8% dichiara di non essere riuscito a rispettare le scadenze previste, il 13,4% lo ha fatto con molte difficoltà, il 38,5% con un po' di difficoltà: a soffrire di più sono state le famiglie monogenitoriali e le coppie con figli. Però negli ultimi mesi si registra il ritorno a un profilo meno prudente nella collocazione del risparmio familiare, con un aumento tra il primo trimestre 2009 e il primo trimestre 2010 delle quote di fondi comuni d'investimento (+29,3%) e delle azioni e partecipazioni (+12,5%).
Fonte:
Repubblica_______________________________________